“La presenza della clausola “floor”, per giurisprudenza costante, è ammessa a condizione che essa sia contenuta in una specifica clausola contrattuale, sia stata approvata dal cliente per iscritto e sia redatta in modo chiaro e ben comprensibile. In presenza di queste tre condizioni, la clausola “floor” è lecita e non comporta alcuna indeterminatezza del tasso di interesse da applicarsi”.
Questo è il principio sancito dal Tribunale di Milano, con la sentenza del 6 novembre 2024, n. 9575.
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. i ricorrenti chiedevano al Tribunale la condanna al pagamento in loro favore di una somma, previo accertamento della nullità della clausola “floor” contenuta nel contratto di mutuo e della nullità dell’aumento dello spread operato dalla Banca. A sostegno della loro richiesta, i ricorrenti allegavano di aver acquistato l’abitazione da una società nel 2012, con contestuale accollo di una quota del mutuo precedentemente stipulato e che nel predetto contratto era previsto un tasso variabile rapportato all’Euribor. Successivamente, nel 2021 la Banca aveva modificato le condizioni contrattuali senza il loro assenso, diminuendo il tasso “floor” e aumentando contestualmente lo spread.
Si costituiva la Banca, allegando che il contratto di mutuo oggetto del presente giudizio non era stato sottoscritto e negoziato dai ricorrenti, ma dalla società di capitali certamente non soggetta all’applicazione della disciplina contenuta nel codice del consumo. Le obbligazioni di pagamento gravanti sui ricorrenti, precisava la banca, derivavano dall’accollo di una quota del predetto mutuo e, con detto accollo, i ricorrenti si erano impegnati a rispettare le medesime condizioni contenute nel contratto di mutuo originario. La banca inoltre sottolineava che la clausola “floor” contenuta nel contratto fosse formulata in modo chiaro e comprensibile e pertanto non potesse considerarsi vessatoria.
La convenuta, infine, evidenziava che la modifica delle condizioni contrattuali dell’aprile 2021, a differenza di quanto allegato dai ricorrenti, non era avvenuta per iniziativa unilaterale della Banca, ma su esplicita richiesta dei ricorrenti stessi.
Il Tribunale di Milano ha rilevato che, sottoscrivendo l’atto di compravendita della propria abitazione con contestuale accollo di una frazione del mutuo originario, i ricorrenti hanno accettato le condizioni ivi previste e si sono impegnati a rispettarle.
“Occorre in primis evidenziare che tale clausola non ha carattere vessatorio ai sensi dell’art. 1341 c.c., atteso il carattere tassativo del relativo elenco. La clausola “floor”, inoltre, non viola l’art. 1346 c.c., poiché ha un contenuto chiaro e perfettamente determinato, rappresentando la soglia al di sotto della quale le parti, di comune intenzione e testualmente, hanno considerato antieconomica per il mutuante l’operazione creditizia, tanto è vero che essa rappresenta il costo minimo del denaro prestato al cliente”.
Non solo, il Tribunale meneghino ha precisato che anche laddove si applicasse la disciplina del codice del consumo, la clausola “floor” sarebbe legittima, chiosando in tal modo: “il controllo di vessatorietà, dunque, non si può attuare, di regola, con riguardo né alle pattuizioni relative alla determinazione dell’oggetto del contratto né al carattere di adeguatezza del corrispettivo stabilito; l’unica eccezione ammessa è l’ipotesi in cui tali elementi non siano espressi in modo chiaro e comprensibile”.
Pertanto, nel caso di specie, risultando il contenuto della clausola “floor” chiaro, univoco e intelligibile, il Tribunale di Milano ha rigettato le domande proposte.