Nell’ambito di un procedimento esecutivo immobiliare può verificarsi l’ipotesi in cui l’oggetto dell’esecuzione sia rappresentato da un bene immobile indiviso che appartenga al debitore soltanto pro quota, e che i partecipanti in comunione chiedano lo scioglimento della stessa, dunque che si verifichi l’ipotesi di cui agli artt. 599 e 600 c.p.c..
In particolare, l’art. 600 del codice di rito stabilisce che qualora una separazione in natura dei beni non sia possibile, si debba procedere ad una divisione o ad una vendita, se il G.E. ritiene che questa possa avvenire ad un prezzo pari o superiore a quello della quota indivisa (cfr. Cass. Civ., III sez, n. 10334/2005, in virtù della quale l’inosservanza di tali modalità comporterebbe un vero e proprio vizio di legittimità del relativo atto esecutivo).
Ebbene, se l’oggetto dell’esecuzione è rappresentato da un bene immobile indiviso e se, ex art. 1111 c.c., ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione, occorre chiarire la posizione e lo scenario che si apre per il creditore procedente. Le norme di interesse sono l’art. 1113 co.3 c.c. e l’art. 2825 commi 3 e 4 c.c.
Innanzitutto, ai sensi dell’art. 1113 co.3 c.c. “devono essere chiamati a intervenire, perché la divisione abbia effetto nei loro confronti, i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale”.
Determinante però risulta essere la previsione di cui all’art. 2825 comma 3 c.c. laddove dispone che i creditori ipotecari di un partecipante al quale siano state attribuite somme di denaro in luogo di beni in natura “possono far valere le loro ragioni su tale somma con prelazione determinata dalla data di iscrizione o trascrizione dei relativi titoli”, andando tale previsione a costituire la fonte della facoltà del creditore di soddisfarsi nell’ambito del processo di divisione.
Dal combinato disposto di queste norme si evince che il creditore ipotecario è prima di tutto litisconsorte necessario nel processo di divisione che si svolgerà dinanzi al giudice dell’esecuzione (funzionalmente competente ai sensi dell’art. 181 disp. att. c.p.c. come riformato dalla l. 80/2005), ma soprattutto si delinea la possibilità che, nell’ipotesi in cui muti l’oggetto dell’ipoteca (fenomeno della c.d. surrogazione reale impropria), il creditore possa soddisfarsi sulla somma di denaro o, se si vuole, sul credito che ha sostituito il bene gravato da ipoteca.
La giurisprudenza ha chiarito che l’intervento del creditore ipotecario è infatti diretto ad ottenere una funzione satisfattiva della pretesa creditoria. In tal senso ha deciso, a mero titolo esemplificativo, il Tribunale di Busto Arsizio (Sent. 15 maggio 2019). Dunque, si può ritenere che il creditore ipotecario, considerando questa prospettiva alla quale sembra che la giurisprudenza si stia aprendo, non abbia motivi di temere l’ipotesi di scioglimento della comunione sul bene gravato da ipoteca.